Grazie ad alcune performance istituzionali particolarmente balneari, è andato molto di moda quest’estate rimpiangere a mezzo social lo stile da primissima Repubblica di una serie di foto che ritraggono Aldo Moro in giacca e cravatta sulla sdraio a mare. Vivere nel 2019 e rimpiangere lo stile dei primi anni ‘60 significa invocare una prospettiva che, dal punto di vista delle più essenziali logiche dell’analisi storica, risulta tanto banale quanto riduttiva.
Se infatti provassimo ad ampliare mentalmente, per meglio contestualizzarla, l’immagine che ritrae Moro in spiaggia e la facessimo diventare una istantanea del paese che, in quel momento, lo circondava, vedremmo un’Italia nella quale a molti di quelli che rimpiangono quello stile non piacerebbe vivere.
Un altro paese
Un paese di valigie povere e chiuse con lo spago, di messe celebrate inderogabilmente in latino e rigorosamente dando le spalle all’assemblea; di ragazze che la domenica non escono da sole perché figlie di ‘famiglie onorate’. Una Italia in cui provincia e grandi città erano unite solo dalle corriere che, dalla campagna, portavano nelle case ‘per bene’ giovani donne ‘a servizio’. Un paese privo di legislazione su aborto e divorzio, governato da un partito dichiaratamente confessionale che non scendeva mai sotto il 38% e governava egemonizzando piccoli partiti comprimari. Una Italia che per arginare il tasso di analfabetismo metteva in televisione il maestro Manzi e che, in termini di diritti fondamentali, non si era ancora dotata né dello statuto dei lavoratori né di leggi avanzate per la tutela della maternità. Una Italia in cui le uniche radio e tv consentite erano quelle di Stato, che applicavano, a norme di legge allora vigente, una censura preventiva su tutti i contenuti ritenuti lesivi della pubblica moralità.
Piramidi e Pierini
Ma soprattutto, vedremmo un paese fortemente piramidale, in cui in tutte le istituzioni comunitarie, dalla famiglia alle parrocchie, vigeva assoluto e indiscusso il principio di autorità, e nel quale le istituzioni formative erano fatte per supportare e far migliorare soltanto i ‘Pierini del dottore’, figli già educati delle classi più abbienti. Una Italia ‘verticale’, nella quale i rappresentanti dei gradi apicali, e i politici su tutti, trovavano legittimazione proprio nel loro essere al vertice, distanti, altrove. La mise di Moro in quella foto racconta una divisa che segna una differenza, una distanza tra chi ha responsabilità di vertice e non sveste mai il suo vestito, e il resto del mondo ‘normale’, che invece può concedersi il lusso di stare in costume e ciabatte. Quella giacca ricordava a tutti, anche ai bagnanti, che chi fa politica, chi è istituzione non è come tutti gli altri.
Un paese nuovo?
L’ampliarsi dei diritti civili, il più vasto accesso alla formazione, l’esplosione di canali comunicativi liberi ha, nel corso dei decenni, lentamente decostruito le logiche di quel mondo piramidale e la fascinazione che esso produceva, sostituendola con la mitologia del diritto assoluto del singolo a essere quello che è. La politica non propone più, nei suoi rappresentanti, un modello inarrivabile cui tutti gli altri possano ispirarsi, ma punta a una piena identificazione ‘al ribasso’. Non ‘siate come me’ ma ‘sono come voi’, con un evidente risparmio in termini di energie politiche, intellettuali e personali. Perché essere un modello, indicare una rotta, uno stile, un modo di essere costa la fatica di essere proprio il modello che si propaganda. Significa molto probabilmente scegliere di mostrare, in talune occasioni, specialmente in pubblico, un sé diverso da quello che si mostra nel privato. Filtrare se stessi per essere ciò che si deve essere. Costa, per tornare alle foto in bianco e nero, la scelta di sopportare quel caldo che Aldo Moro stava sicuramente soffrendo in quei minuti. Invece, il meccanismo di identificazione che caratterizza oggi gran parte della comunicazione istituzionale permette a qualsiasi politico di essere, in sedi ufficiali e non, proprio come è, vantando anzi la propria genuinità come sincerità, onestà e assenza di filtri.
Anche qui, però, additare questo mutamento come il sintomo della corruzione della sola classe dirigente è a dir poco miope. Quanti di quelli che guardano con sdegno alla corruzione dei costumi delle diverse forze politiche, nazionali e non, scelgono di tenere un atteggiamento diverso quando sono a loro volta istituzioni o quando a esse si rivolgono? Invocato lo stile inappuntabile di Moro, si è pronti a essere docenti, funzionari pubblici, medici ospedalieri o messi comunali equanimemente neutrali, rispettosi sempre delle forme, capaci di tenere le distanze, come (riteniamo facessero) i nostri predecessori in giacca e cravatta? E, da utenti, non cerchiamo anche noi, nelle istituzioni, il tono fraterno e amicale, criticando impiegati o ufficiali che ci si presentano troppo algidi e formali?
Ritorno al passato
L’Italia e il mondo ritratti in quella foto non esistono più. E non è questione di progresso o imbarbarimento (categorie che non hanno senso in una analisi storica sensata) ma di mutamento delle forme esteriori che rispecchiano cambiamenti di mentalità. Un mondo di cultura è sempre un intero del quale non ha senso rimpiangere nostalgicamente le forme senza considerare quali fossero le logiche che le fondavano e senza pensare a quanto esse siano irrecuperabilmente lontane o, peggio, ormai totalmente incompatibili con le nuove sensibilità della contemporaneità.
Più volte, nel corso della storia, epoche culturalmente ‘deboli’ hanno scelto di declinare le forme della loro incerta valorialità mitizzando un passato acriticamente avvertito come migliore. Se certi valori non tramontano, le forme in cui essi si manifestano passano però inevitabilmente con il tempo che le ha prodotte; rimpiangere il modo in cui, in un generico e decontestualizzato ‘prima’, essi venivano declinati denuncia tutti i limiti culturali di un’epoca che, comodamente nascosta dietro l’alibi della riproposizione astorica di forme di un tempo passato, evita il travaglio necessario alla elaborazione di una forma nuova che rispetti – pur con tutta la fatica che ciò comporta – lo spirito del tempo presente.