Dal vertice alla base.
Un nuovo modello di gatekeeping

In un saggio del 1947, Kurt Lewin si riproponeva di analizzare i meccanismi che determinavano le abitudini alimentari della popolazione americana (Lewin 1947, pp. 143-153). Lewin notò che tutti i passaggi che conducevano dalla produzione delle materie prime fino alla loro preparazione nelle cucine delle famiglie erano presieduti da gatekeeper, vale a dire da soggetti che operavano delle scelte tra tutte le opzioni possibili: i contadini sceglievano quali semi piantare a discapito di altri; i commercianti selezionavano determinati prodotti da vendere, non esponendone altri; chi, in famiglia, procedeva con gli acquisti selezionava alcune materie prime e, infine, chi le cucinava determinava quali utilizzare e quali scartare.

Pochi anni dopo, Lewin provò a estendere questo framework interpretativo dall’ambito della filiera alimentare a tutti i processi di trasmissione di beni e di informazioni (Lewin 1951, p. 187). Lo schema illustrato da Lewin, che nel corso dei decenni è stato ampliato e ridiscusso per evidenziare le interazioni che tutti i gatekeeper di una filiera hanno tra di loro, descrive dunque ogni processo di comunicazione come una selezione, operata a monte dalla fonte, delle informazioni che devono raggiungere il recettore (Shoemaker 1991). La categoria interpretativa del gatekeeping appare infatti particolarmente funzionale per descrivere la natura sempre strutturalmente gerarchica di ogni rapporto comunicativo: chi trasmette un dato è in possesso di una informazione che il recettore non ha e che dunque lo pone in una condizione di controllo del processo comunicativo; è lui a decidere quando, come e, appunto, quanto comunicare di quello che sa.

Tale ‘esercizio di potere’ non interessa soltanto i gradi apicali dei processi comunicativi (quelli cioè in cui una élite domina la filiera di trasmissione dei dati) ma struttura di fatto tutte le relazioni, anche quelle più quotidiane, nelle quali avviene uno scambio di dati. Raccontare un avvenimento del quale si è stati testimoni o narrare le vicende di un romanzo significa, per esempio, selezionare soltanto gli aspetti più importanti di tutto quanto si è visto o letto, quelli che chi parla ritiene possano possano meglio riprodurre, nell’immaginario di chi ascolta, quanto accaduto e che dunque riescano a portare a effetto il fine stesso della comunicazione: rendere comprensibile all’altro ciò che sta pensando chi parla. Il risultato che, alla fine di questa operazione di narrazione mediata, giunge a chi ascolta è ovviamente molto distante dall’informazione originaria, perché raccontare non equivale a ricostruire tutto ciò di cui si è stati testimoni o che si pensa, ma significa condensare avvenimenti durati diversi minuti in pochi secondi di narrazione; se così non fosse, uno storico che volesse raccontare gli avvenimenti di un secolo intero dovrebbe impiegare, per farlo, un intero secolo.

chi trasmette un dato è in possesso di una informazione che il recettore non ha e che dunque lo pone in una condizione di controllo del processo comunicativo; è lui a decidere quando, come e, appunto, quanto comunicare di quello che sa

 

Il gatekeeping classico: verticistico e verticale

Da sempre, dunque, ogni trasmissione di informazioni – dalla più semplice comunicazione interpersonale ai grandi processi di divulgazione editoriale – avviene dunque attraverso l’azione selettiva di chi trasmette o filtra l’informazione e la piega inevitabilmente al suo lessico, alle sue convinzioni e ai suoi fini e ne ‘intenziona’ di fatto il contenuto (Zeegers-Barron 2010, p. 1). Il processo (in)formativo si presenta, nella storia della nostra cultura, come un modello molto rigido di gatekeeping, del quale è possibile individuare quattro caratteristiche fondative.

Proviamo ad applicare lo schema all’ambito educativo per comprenderne meglio il senso. Il docente è sempre un gatekeeper rispetto ai suoi allievi: è infatti al (1) vertice del processo – perché è in possesso della conoscenza che deve veicolare ed è con il suo pubblico in una relazione uno/molti – e ha il compito di selezionare le informazioni più rilevanti (per esempio, stabilendo quali opere di un determinato filosofo illustrerà ai suoi studenti per restituire loro l’idea della dottrina di quel pensatore). Deciderà dunque che, in (2) luoghi e (3) momenti stabiliti (in classe, nell’orario scolastico, etc.) (4) trasmetterà frontalmente – senza cioè necessariamente preoccuparsi di ricevere o gestire un feedback – ai suoi allievi quelle informazioni al fine di condurli quanto più vicino a quello che egli ritiene unilateralmente essere il livello di competenza da raggiungere. 

Questo modello di gatekeeping ha pervaso per secoli l’intera organizzazione sociale dell’Occidente; tutti gli agenti (in)formativi hanno infatti alimentato e difeso l’idea di una società plasmata da un dispositivo verticistico e gerarchico. Nelle famiglie come nelle parrocchie, nelle università come nelle sedi di partito o nell’editoria e nelle pubblicistica, l’universo dei rapporti si è declinato per secoli secondo una logica  piramidale: come cioè i genitori erano posti come (1) vertice che determinava i contenuti, (2) gli ‘spazi’ e i (3) tempi educativi in modo (4) unilaterale così i media moderni, come la televisione o la radio, si presentavano sempre (1) verticistici – perché i costi non rendevano la produzione accessibile a chiunque e perché la possibilità di esserne parte attiva era vincolata a una processo di selezione operato dai media stessi –, selezionavano cosa raccontare e cosa no, diffondendo le informazioni in (2) luoghi e (3) momenti precisi (le edizioni dei giornali, gli appuntamenti fissi delle trasmissioni tv, etc.), non accettando (4) interazioni (se non blande) da parte del pubblico.

Questo modello di gatekeeping ha pervaso per secoli l’intera organizzazione sociale dell’Occidente; tutti gli agenti (in)formativi hanno infatti alimentato e difeso l’idea di una società plasmata da un dispositivo verticistico e gerarchico. 

 

Un nuovo di gatekeeping: il Web

Anche il Web, nella prima fase della sua evoluzione (cioè almeno fino al 2004) non si è discostato dalla struttura degli altri media classici e si è dunque perfettamente conformato alla loro logica di gatekeeping verticistico. 

La necessità di acquistare (a prezzi non modici) spazi su server online da gestire direttamente o affidandosi ad agenzie, la presenza di pochi software visuali e la conseguente necessità di apprendere almeno i rudimenti del codice HTML o di linguaggi di scripting costringevano infatti quanti volessero utilizzare questo nuovo media a rivolgersi a professionisti della comunicazione, il che restringeva molto il numero di potenziali creatori di pagine Web. Internet rappresentava dunque un luogo di diffusione delle informazioni certamente più democratico di quelli che lo avevano preceduto, ma ancora sostanzialmente ancorato alle logiche ‘classiche’ di gatekeeping: in pochi (1) potevano scegliere le informazioni da veicolare e realizzare siti che, per mancanza di interazione, restavano sostanzialmente dei canali di comunicazione (4) unidirezionale.

Nella sua prima fase, Internet rappresentava  un luogo di diffusione delle informazioni certamente più democratico di quelli che lo avevano preceduto, ma ancora sostanzialmente ancorato alle logiche ‘classiche’ di gatekeeping

 

Mentre però ribadiva la valenza di queste logiche ‘classiche’, il Web portava con sé anche una significativa modifica: la (2) a-simmetricità e la (3) a-sincronicità della fruizione dei contenuti, accessibili cioè in ogni luogo e in ogni momento.

La seconda fase dell’evoluzione del Web ha invece molto più significativamente modificato questi aspetti. La nascita delle prime chat (come IRC) e dei forum ha infatti permesso la creazione di gruppi di utenti che, con un investimento economico e tecnologico minimo, interagivano in modo libero e orizzontale. Questa sempre crescente spinta verso la condivisione dei contenuti, e l’evoluzione degli strumenti software, ha condotto alla nascita (attorno al 2004) di pagine Web che non si limitavano a fornire informazioni ma con le quali gli utenti potevano interagire. La logica server/client ha portato in quegli anni i siti Web a ‘riconfigurarsi’ in tempo reale a seconda delle scelte dell’utente, che poteva selezionare, per esempio, quali informazioni di un database visualizzare, quali filtri applicare a una ricerca, etc.  Il Web 2.0 ha segnato dunque un deciso cambiamento; se era infatti ancora necessario, per produrre contenuti su Internet, possedere una competenza informatica (per esempio, per gestire un blog, un CMS o un wiki) ancora ad appannaggio di pochi, il dinamismo dei contenuti dei siti Web risultava un dato ormai definitivamente acquisito e veniva al contempo garantita una maggiore orizzontalità della comunicazione tra gli agenti. 

La vera rivoluzione è però recente. 

 

La rivoluzione social

L’attuale evoluzione del Web sembra infatti intervenire proprio sulla semplificazione delle procedure per chi voglia contribuire con le sue opinioni alla vita della Rete. L’avvento non soltanto di editor WYSWYG (orientati cioè a supportare gli utenti nella creazione facilitata di contenuti digitali) ma soprattutto l’enorme diffusione dei social netwok, che si presentano sempre gratuiti e con una interfaccia di produzione contenuti semplificatissima, ha permesso praticamente a tutti gli utenti di condividere con una più o meno vasta comunità di riferimento contenuti e informazioni. Grazie a questa semplificazione, gli utenti sono in grado di produrre senza sottostare a logiche (1) verticistiche. Questi contenuti ‘leggeri’ – vale a dire creati senza alcuna competenza tecnica e senza nessun dovere di verifica delle fonti – che i singoli selezionano e condividono, non solo vengono infatti offerti al pubblico on demand, disponibili cioè (2) dappertutto e (3) sempre, ma sono pensati non più come dati semplicemente (4) ‘trasmessi’ ma come luogo di interazione (a volte in tempo reale) tra chi li produce e chi li recepisceRispetto al modello di gatekeeping didattico, comunicativo, politico e sociale che ha caratterizzato per secoli l’idea stessa di società occidentale, il modello del Web e, in particolar modo, quello dei social network rappresenta dunque una vera rivoluzione, culturale e ideologica prima ancora che tecnologica.

Rispetto al modello di gatekeeping didattico, comunicativo, politico e sociale che ha caratterizzato per secoli l’idea stessa di società occidentale, il modello del Web e, in particolar modo, quello dei social network rappresenta dunque una vera rivoluzione, culturale e ideologica prima ancora che tecnologica.

 

Di quel mondo, infatti, l’universo digitale decostruisce completamente la (1) gerarchia comunicativa, che viene meno e pone qualsiasi utente in possesso di un device e di una connessione alla Rete nelle condizioni di comunicare le sue idee, che possono essere fruite (2) dovunque e (3) sempre. Ciò conduce a una personalizzazione del processo che porta gli utenti a diventare, da soggetti della comunicazione, oggetti del comunicare, perché la loro vita diviene la vera materia informativa che viene (4) ‘interagita’, cioè trasmessa e messa in discussione, cioè commentata.

L’avvento della Rete (in particolar modo nella sua declinazione social e nella forma user friendly che ha estremamente semplificato l’accesso e la creazione di contenuti su blog, siti Web, etc.) ha dunque, nel giro di pochissimi anni, rotto il monopolio plurisecolare di quello ‘sfero’ compatto che aveva unito formazione, informazione ed educazione nella condivisione di un identico modello verticale e di potere, rimescolando completamente i ruoli assegnati ai diversi attori e creando un ‘mondo nuovo’, alternativo e parallelo rispetto a quello ‘classico’.

 

Lo spirito del tempo

La generazione nata tra gli inizi e la prima metà degli anni ‘70 del XX secolo è stata testimone di questa rivoluzione, vivendone gli albori. Tra il 1972 e il 1982 sono nati e sono entrati nella quotidianità casalinga dispositivi iconici come i personal computer Apple e IBM, il sistema operativo Microsoft, i walkman, le console di videogiochi, le videocamere amatoriali, i videoregistratori. Il mondo della produzione e riproduzione di informazioni è progressivamente diventato sempre più dichiaratamente consumer, impegnato cioè a proporre una esperienza che avesse al centro l’utente, le sue scelte, i suoi tempi di fruizione. Nel corso dei decenni, questo processo ha portato a ‘personalizzare’ via via sempre di più i device fino ad arrivare a rendere oggi ogni utente capace di esprimere le sue idee, creare e distribuire contenuti testuali, audio e video con pochi, semplici gesti su piattaforme gratuite. Questo straordinario ventaglio di possibilità, al contempo sempre più raffinate e di sempre più facile utilizzo ha prodotto via via l’affermarsi di un modello di relazioni sociali molto differente da quello ‘classico’. Il nuovo modello, molto più orizzontale, orientato alla grande distribuzione condivisa di contenuti e, al contempo, a una loro fruizione e produzione individuale non ha evidentemente soppiantato quello precedente, che sopravvive forte in alcune ‘agenzie’ (come per esempio la scuola) ma si è affermato come alternativa parallela a esso. La ‘generazione consumer’ (allevata in un universo di senso ‘antico’ ma testimone del sorgere dal nulla di quello ‘nuovo’) ha per questo oggi dinanzi a sé una possibilità preziosa: provare ad accompagnare le agenzie nelle quali vige ancora il più classico gatekeeping verticale, come la scuola o l’università, nella sperimentazione dei più recenti strumenti di condivisione e collaborazione per porle, così, in dialogo con lo spirito del tempo presente

 

Da leggere
  • Lewin K., Frontiers in group dynamics: Concept, method and reality in science; social equilibria and social change, in «Human Relations», 1 (1947), pp. 143-153. 
  • Lewin K., Field theory in social science: Selected theoretical papers, New York 1951.
  • Shoemaker P. J., Gatekeeping, New York 1991.
  • Zeegers M. – Barron D. , Gatekeepers of Knowledge: A consideration of the library, the book and the scholar in the Western world, Oxford 2010.

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