Amici e amati miei tutti.
Se siete qui, tutti qui, seduti ad ascoltare, significa che quella che non c’è sono io. Situazione ideale, direi, perché posso rubarvi qualche minuto senza che possiate protestare. Del resto, sapete che il centro dell’attenzione è un posto che mi piace molto e nel quale mi muovo con una certa dimestichezza.
Ognuno di voi è parte della mia storia e di ognuno di voi sono parte io. Storie diverse e non tutte semplici. Storie che abbiamo costruito, distrutto, aggiustato, dimenticato, ritrovato. Storie progettate e mai realizzate (che sono di gran lunga le mie storie preferite). Storie raccontate quando la sera non veniva il sonno. Storie ascoltare dai pulpiti. Storie di vestiti cuciti su misura ma sempre a occhio. Di manifesti e volantini. Storie piene come sacchi di regali il 6 gennaio. Oppure vuote come i silenzi, quelli troppo lunghi e taglienti con i quali amiamo a volte farci del male. Storie di dolori e di attesa. Di cura e di cure. Di amori troppo grandi per essere detti tutti interi.
Riguardandole tutte, so che in ognuna di queste strane storie ho provato a portare il meglio di me. Cuoca provetta, filosofa militante, linguista mancata, artista creativa, sorpresista professionale, pilota da alte velocità, ascoltatrice impaziente, soluzionista per ogni occasione, oracolo medico-emotivo, educatrice siberiana. Piccoli talenti dei quali, lo sapete, vado molto orgogliosa ma per i quali ho pagato un prezzo: vivere nella paura di voler essere molto, a volte tutto, senza mai riuscire a essere veramente qualcosa. La paura di andarmene senza riuscire a capire cosa fosse Lucia.
Ma poi ho capito.
Ho capito il senso di aver usato il mio tempo per attraversare vite innumerevoli. Le vostre vite, certo, ma soprattutto le mie. Le tante Lucia che sono stata. Ho capito che il problema non è viverne tante, di vite, a volte anche diverse e incoerenti tra di loro. Il problema è non avere il coraggio di conservarli tutti, i ricordi di quelle vite. Anche quelli storti, quelli che tutti vorrebbero buttare per negare di averli vissuti. Perché in fondo a tutti piacerebbe poter raccontare che noi di strada ne abbiamo scelta una, nella vita, e l’abbiamo seguita con coerenza per tutta la nostra esistenza. Ordinatamente. E invece, istante per istante, pur senza sapere perché, io le ho messe da parte, le esperienze di queste vite nostre, come pezzetti, di mille forme irregolari e di tanti colori diversi. Che fossero stondati o aguzzi, pesanti o lievi: li ho conservati, tutti, questi pezzetti, perché il mio vero talento – lo sapete tutti – è che io non butto via niente, mai, anche quando non so esattamente a cosa e quando potrà servirmi quello che conservo.
E bene ho fatto, miei amati.
Perché alla fine, ora che di questo confuso mosaico sto forse incollando l’ultimo pezzettino, a guardarli tutti assieme non mi sembrano più una accozzaglia di cose senza senso, come a volte mi sono apparsi la mia vita o il mio armadio. Mi sembra al contrario che l’immagine che ne esce fuori sia bellissima, piena di colori, commovente e cangiante da un lato all’altro della cornice.
Una immagine non perfetta, per fortuna. Ma mia, e dunque nostra. Di tutti e di ciascuno.
Non so se mi toccherà rivederlo dall’alto e per sempre, questo bizzarro mosaico. Alcuni dicono di sì e anche a me, in fondo, piace pensarlo. Se così sarà, guardarci per l’eternità tutti riuniti nel racconto di quello che abbiamo fatto mi sembrerà, senza dubbio alcuno, dolce e meraviglioso.
Grazie di esserci stati e grazie per tutte le storie nelle quali continuerete a portarmi.
Vi voglio bene
Lucia